Un morbido arpeggio di chitarra acustica e un canto caldo, limpido. A introdurre la seconda serata del Mese Dantesco 2016 è stata una meravigliosa interpretazione folk di Paradiso XI di Branduardi ad opera di Leonardo Bollini e Luca Volpinari: “Ma perch’io non proceda troppo chiuso / Francesco e Povertà per questi amanti / prendi nel mio parlar diffuso”. Ha poi spiegato Teodoro Forcellini, esperto studioso sammarinese, le ragioni di questa ouverture: se, come ci dice Dante stesso nell’incipit di Par. XXV, la Commedia è un “poema sacro”, allora va letta come le Sacre Scritture, e dunque esplorata nelle profondità abissali dei simboli medievali. Così, dunque, va interpretato il canto di San Francesco. Coerentemente, dunque, Forcellini ha voluto dare una lettura “sacra”, “biblica” e fedelmente medievale di quattro stupende e all’apparenza cristalline terzine di Paradiso XI.
Il significato letterale dei versi 73-84 è limpido: Dante mette infatti in scena le nozze di Francesco e Madonna Povertà, da molti ridotte a una (pure presente) critica alla Chiesa corrotta del Trecento. Ma questi accidiosi ermeneuti, a cui Forcellini dedica la brillante cover di Pigro di Graziani performata dal duo Bollini-Volpinari, non hanno saputo scorgere, fedeli a una visione esclusivamente laica e secolare del poema, i significati nascosti e più profondamente mistici.
“Attirami dietro a me, corriamo!” dice la sposa del poema erotico-mistico del Cantico dei Cantici, uno dei libri più lirici della Bibbia, al suo sposo. C’è qui l’idea, ripresa in altri libri della Scrittura e nella Legenda Maior, della pronta sequela di Cristo: la sposa è l’Anima o la Chiesa, lo sposo il Redentore. E in Par. XI Dante, in riferimento ai primi discepoli del santo di Assisi, utilizza espressioni che riecheggiano questa immagine: “corse e, correndo”, “dietro a lo sposo, sì la sposa piace” e “dietro a costui”. Perché l’Alighieri, quindi, scegliendo un simbolo così forte, mette in relazione lo sposo-Cristo del Cantico a San Francesco?
Perché solo l’assisiate, insieme a San Paolo, ebbe, per il Medioevo, una visione inaudita, e senza intermediari, di Cristo. Tale interpretazione dantesca di Francesco è confortata dal confronto tra i versi iniziali del canto (“quando, da tutte queste cose sciolto, / con Beatrice m’era suso in cielo”) con l’esperienza mistica di San Francesco alla Verna come interpretata da San Bonaventura nell’Itinerarium mentis in Deum: così questo autore, citando lo Pseudo-Dionigi Areopagita, spiega l’ascesi dell’anima dell’assisiate a Dio: “Separandoti da tutto e totalmente libero, ti innalzerai sopra te stesso e sopra ogni cosa con un’estasi incommensurabile e assoluta”. Così Francesco, sciolto da ogni residuo della vita terrena (famiglia e ricchezza in primis), ascende, tramite le nozze con la Povertà, alla conoscenza di Dio. Solo l’amore per Dio è infatti “forte come la morte, perché separa da tutto”.
Così dunque, bisogna interpretare il Francesco dantesco ferito dall’“ultimo sigillo” delle stimmate a La Verna: come l’allodola della poesia trobadorica (e Bollini e Volpinari ci hanno dato un assaggio anche della canso provenzale) che vola, fino a scomparirne, verso la luce del sole.
Lo scalzarsi di Francesco e dei suoi discepoli, inoltre, ha anch’esso un sottofondo mistico: richiama i piedi scalzi degli angeli secondo la visione dello Pseudo-Dionigi, che scrive “i piedi rappresentano la mobilità, la rapidità e la corsa dell’inarrestabile moto che conduce verso le cose divine” e “i piedi nudi indicano che sono liberi, sciolti, spediti e puri dall’aggiunta delle cose esterne”. Anche la corsa è allegorica e richiama il moto perpetuo dei serafini che, correndo verso e attorno a Dio, rinnovano continuamente l’amore per lui in una situazione paradossale di desiderio appagato e sempre nuovo. Così Berardo di Quintavalle, primo seguace di San Francesco, si scalza, separandosi dai beni terreni, e inizia a correre, ma correndo, ha un ancora maggior desiderio di correre e seguire.
Egli, infine, è tratto – secondo la metafora della corsa mistica come centrifuga catena d’amore fra le varie gerarchie angeliche – da Francesco e Povertà, e a sua volta traina e coinvolge Egidio e Silvestro. Emerge quindi una visione della vita spirituale, della carità cristiana e del Paradiso non come pace e quiete appagata, ma come inquieta e irrefrenabile maratona dell’anima verso l’Assoluto.