Grande successo per il primo appuntamento del Mese Dantesco 2016: presso il Teatro Titano il professor Maurizio Gobbi – che, come non ha mancato di sottolineare il Presidente della Dante Franco Capicchioni, è una “vera e propria colonna” di questa iniziativa, giunta alla decima edizione – ha tenuto, nel suo stile briosamente informale, sempre sostanzioso ed esaustivo, un’interessantissima conferenza su un canto, poco noto ma estremamente significativo per i rapporti tra la poesia dantesca e la storia locale romagnola: Purgatorio XIV.
Protagonisti di quello che – insieme ai celeberrimi Inf., Purg. e Par. VI – è uno dei canti politici per eccellenza dell’opus magnum dell’Alighieri, sono due nobili romagnoli: Guido del Duca, giudice ravennate, e Rinieri da Calboli, podestà di varie città della penisola, puniti nella seconda cornice del Purgatorio, dove espiano il loro peccato gli invidiosi, che, se in vita scrutarono astiosamente il prossimo, ora si aggirano ciechi, con le palpebre cucite.
Se nella prima parte del canto Dante rimprovera aspramente il malcostume della valle dell’Arno – i cui abitanti sono stati tramutati in belve dalla forza abbruttente del peccato –, nella seconda si scaglia contro la Romagna del suo tempo (che il poeta conosceva bene, avendone frequentato, durante il suo esilio, le corti) e contro i suoi abitanti, che – imbastarditi dalle tre grandi colpe che, per dirla con Ciacco (Inf. X) hanno acceso i cuori dei cives (superbia, invidia e cupidigia) e corrotti dai “subiti guadagni” della mercatura – hanno dimenticato il loro glorioso passato di nobiltà e cortesia.
Dante, agguerrito laudator temporis acti al tramonto (verrebbe da dire, con Huizinga, “autunno”) del Medioevo ma anche ispirato profeta civile, inveisce con toni di fuoco contro la distruttiva invidia e l’ingegnosa fraudolenza della borghesia mercantile (che, egoista e litigiosa, lotta senza esclusione di colpi per la supremazia economica e politica) nonché contro l’insaziabile sete di potere e la crudele avidità della classe dirigente toscana e romagnola, inestirpabili disvalori, questi, incarnati dal nipote degenere di Rinieri, Fulcieri da Calboli. Rimpiange, invece, l’antica rettitudine delle famiglie gentilizie e, soprattutto, in un afflato di elegiaca nostalgia, gli splendori morali ed estetici – compresi gli onorevoli divertimenti dei tornei e delle liete brigate – di quell’universo cavalleresco ormai scomparso.
Un’analisi, quella di Gobbi, che ha non ha mancato di mettere in luce l’immensa attualità della galvanizzate tensione politico-morale dell’Alighieri, che, con toni così ispirati e violenti da sconfinare nella profezia, rinnova nel lettore di ogni tempo la sete di giustizia, l’indignazione per la corruzione della mala politica, l’aspirazione all’armonia civile e l’amore – giustamente critico e passionale – per la cosa pubblica.