Nonostante i suoi 105 anni, L’Inferno, film muto della Milano Films diretto da Francesco Bertolini, Giuseppe de Liguoro e Adolfo Padova, impressiona ancora. La pellicola, corredata della spettrale colonna sonora della Edison (che tenta in più punti un riuscitissimo “doppiaggio” mimetico), certamente fa sorridere per la recitazione teatralmente iperbolica e per gli effetti speciali vintage (funi sospese, pupazzoni pelosi, fiamme, fumo e diavolacci armati di forcone), ma indubbiamente riesce, ancora oggi, a inquietare spettatori ben più smaliziati e consapevoli – rispetto, se non altro, all’ingenua audience che si precipitava fuori dalla sala credendo che il convoglio l’avrebbe investita – grazie alle sue atmosfere diaboliche e claustrofobiche e al delirio, talvolta quasi espressionistico, di certe rappresentazioni.
Ha introdotto la proiezione un puntuale inquadramento storico di Luca Pasquale, già professore dell’Università di Bologna e oggi docente di italiano al nostro liceo, che ha contestualizzato il film all’interno della corrente cui appartengono le pirotecniche creazioni di Méliès, filone che, insieme a quello “realista” inaugurato dei Fratelli Lumière, rappresenta una delle due grandi anime della cinematografia dell’epoca. A questa evasiva tensione verso il “meraviglioso”, in cui emerge una sensibilità estetica proto-orrorifica per il perturbante (in anticipo di quasi dieci anni rispetto a capolavori quali Nosferatu), bisogna ovviamente associare il genere nascente del kolossal: il film, infatti, della pionieristica durata di 126 minuti, fu all’epoca un vero e proprio blockbuster.
Particolarmente d’impatto non poche scene, molte delle quali ispirate alle incisioni del noto illustratore della Commedia Gustave Dorè: innanzitutto la danza robotica degli spiriti lussuriosi (e il relativo, pudico, flashback su Paolo e Francesco); poi, certamente, la furia di Pluto, che, invocando Lucifero in “diavolese”, si dispera di fronte a Dante e Virgilio con strida rauche degne de L’esorcista di Friedkin; ancora il granguignolesco supplizio del Conte Ugolino e, infine, l’espressionistica visione del tricipite Satana divoratore.
La Dante Alighieri ringrazia i numerosi convenuti e il professor Luca Pasquale, che ha saputo trasmetterci, forte di una grande competenza in materia e di uno stile espositivo preciso e affabulatorio, la meraviglia e lo stupore di fronte a un’arte – e forse non è un caso che la pellicola, nella sua versione restaurata, si concluda con un inquietante vagito/risolino d’infante – al suo stadio embrionale.